Di recente è risultata particolarmente interessante la pronuncia della Corte di Cassazione, che ha ritenuto “legittimo il provvedimento con il quale il Giudice dispone l’affidamento etero-familiare del minore con collocamento dello stesso presso una Comunità, sino al completamento del ciclo scolastico, in presenza di una situazione conflittuale tra i genitori, unitamente alla condotta manipolatoria dell’altra figura genitoriale da parte della madre”(1) .
L’istituto dell’affidamento familiare (2) ha lo scopo di porre rimedio a situazioni di temporanea inabilità dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, che ostacolino il diritto del minore a crescere in un ambiente sereno. È uno strumento mirato a tutelare il minore, ha una durata stabilita e può terminare o in un rientro nella famiglia di origine, o nella dichiarazione dello stato di adottabilità, quando i genitori non sono più in grado di adempiere la funzione genitoriale. I minori possono essere affidati ad un’altra famiglia, possibilmente con figli minori, a una persona singola, o una comunità di tipo familiare, al fine di assicurare il loro mantenimento, l’educazione e l’istruzione.
L’affido familiare è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e, se opportuno, anche di età inferiore. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto. Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate le specifiche motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell’esercizio dei poteri riconosciuti all’affidatario. Deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell’affidamento ed il servizio sociale locale cui è attribuita la vigilanza durante l’affidamento, con l’obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni.
L’affidamento familiare cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato l’interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia di origine che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi pregiudizio al minore.
Esistono diversi tipi di affido. Può essere :
– consensuale o giudiziale, in base a chi dispone l’affidamento. Nel primo caso caso l’affidamento è disposto dai servizi sociali in accordo con la famiglia e ratificato dal giudice tutelare per massimo 2 anni. Al contrario è disposto dal giudice, in assenza di accordo.
– Intrafamiliare o etero-familiare, secondo i modi in cui viene accolto il minore. Il primo si ha quando il minore è affidato ai parenti fino al quarto grado. Il secondo quando è accolto da una famiglia affidataria.
– Residenziale, diurno/semiresidenziale e a tempo parziale, a secondo del ruolo riconosciuto agli affidatari. Il primo caso è quando il minore abita in modo stabile con gli affidatari o almeno 5 notti a settimana. Il secondo quando il minore trascorre parte della giornata con gli affidatari, a tempo parziale quando ci trascorre un breve periodo, d’accordo con gli affidatari(ad esempio alcuni giorni della settimana o un periodo dell’anno).
Poi ci sono alcune tipologie strettamente collegate a bambini in situazioni particolari; pensiamo ad es. ai bambini da 0 a 2 anni, a situazioni familiari di emergenza o di particolare complessità, o nel caso di stranieri non accompagnati.
Il minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e di conservare altresì rapporti significativi con ascendenti e i parenti di ciascuno. Il benessere del minore viene definito come l’obiettivo principale, al fine di tutelare l’interesse dello stesso e anche e soprattutto quando viene meno quell’unità e solidarietà familiare che avrebbe dovuto conservare il suo benessere.
La regola generale resta quella dell’affido “condiviso” del minore ad entrambi i genitori. Questi devono assumere in pieno accordo tutte le scelte che concernono l’educazione del minore, nonostante quest’ultimo possa essere collocato prevalentemente presso uno dei due genitori, al fine di mantenere il suo equilibrio e i rapporti instaurati nell’ambiente educativo di riferimento. L’affidamento “esclusivo” ad un solo genitore, viceversa, costituisce l’eccezione alla regola, ed è attualmente un’ipotesi meramente residuale, applicabile solamente in caso di mancata rispondenza dell’affidamento condiviso all’interesse superiore del minore, e può essere disposto solamente con provvedimento motivato.
Nel caso richiamato, il giudice di primo grado ha ritenuto che il collocamento comunitario del figlio fosse l’unica soluzione per preservare il minore da una situazione conflittuale tra i genitori e dalla condotta manipolatoria della madre, che si rivela per lui altamente pregiudizievole.
La Corte D’Appello di Milano ha respinto il reclamo, comportando l’adozione di pesanti misure limitative della responsabilità genitoriale nei confronti dei genitori e del minore. In particolare, il giudice, preso atto di ogni tentativo di sostegno per il minore e per i genitori a causa dell’atteggiamento non collaborativo della madre, e atteso il pregiudizio per il bambino, aveva confermato l’affido del minore con collocazione presso l’attuale comunità ospitante.
Al contrario, la Corte, ha osservato che l’affidamento del minore ai servizi sociali costituisce una misura limitativa della responsabilità genitoriale.
L’affidamento etero-familiare è un istituto giuridico di sostegno ai minori che consente loro di essere accolti o di essere momentaneamente affiancati da altri adulti, per permettere ai loro genitori di superare momenti di difficoltà. In tal modo ai minori è data la possibilità di abitare con persone idonee e in grado di provvedere al loro mantenimento, educazione all’istruzione e alle relazioni di affetto necessarie a creare un ambiente sereno.
1. Cassazione Civile, sez. I, ordinanza del 27 ottobre 2023, n. 29814;
2. Legge numero 184 del 1983, articolo 4 comma 3e ss. mm. L. n. 194/2001);
