Molte coppie scelgono di avere un conto comune per comodità, convinte che tutto ciò che vi entra appartenga a entrambi. In realtà, il regime di separazione dei beni mantiene distinti i patrimoni dei coniugi: ognuno conserva la titolarità di ciò che guadagna e versa. Se, durante la separazione, uno dei due preleva somme che provengono solo dall’altro, deve restituirle.
Il regime di separazione dei beni è una scelta con cui i coniugi stabiliscono che ciascuno resta proprietario esclusivo dei beni acquistati o dei redditi prodotti durante il matrimonio[1].
In pratica: ciò che guadagna uno non diventa automaticamente dell’altro.
Se si apre un conto cointestato, si condivide la gestione pratica (cioè entrambi possono firmare, versare, prelevare), ma non la proprietà del denaro. Chi versa resta proprietario di quanto ha depositato, a meno che non vi sia una prova chiara di una diversa volontà di “donare” o “mettere in comune”.
Immagina un conto con due chiavi: entrambi possono aprirlo, ma ognuno ha diritto solo alla parte di denaro che ha messo dentro. Il fatto che entrambi possano operare non significa che i soldi siano di tutti e due. Quando la coppia si separa, il giudice può chiedere di ricostruire chi ha versato cosa, e chi ha prelevato più del dovuto deve restituire.
Nel caso deciso dal Tribunale di Roma, una moglie aveva dimostrato che tutto il denaro del conto proveniva dal suo stipendio. Il marito aveva prelevato senza accordo, sostenendo che il conto fosse “di entrambi”.
Il giudice ha chiarito che la presunzione di comunione vale solo verso la banca, non tra i coniugi, e lo ha condannato a restituire quanto indebitamente prelevato[2].
In regime di separazione, ciascuno risponde solo del proprio. Il conto cointestato consente di gestire insieme, ma non crea comunione di proprietà. È possibile dimostrare chi è il vero titolare delle somme. Chi preleva somme non proprie può essere obbligato a restituirle.
Ricorda:“Aprire un conto insieme è un gesto d’amore. Ma anche l’amore ha bisogno di regole chiare per restare giustoi.”
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[1] Artt. 215-219 cod. civ.
[2] Tribunale di Roma, sez. XVII, sentenza 27 settembre 2025, n. 13220, conforme a Cass. 26991/2013; Cass. 77/2018; Cass. 4066/2009; Cass. 31209/2022.
[3] Art. 1298 cod. civ.
