Quando una coppia si separa o divorzia, raramente la questione riguarda solo sentimenti e figli.
Spesso entrano in gioco case, conti, mutui e promesse fatte negli anni. Per questo, in passato, molti cercavano di risolvere tutto nello stesso processo, chiedendo al giudice di affrontare anche le questioni economiche e patrimoniali. Oggi non è più possibile. Lo ha recentemente spiegato in una sentenza il Tribunale di Castrovillari (1).
Una coppia, dopo la separazione, aveva concordato di trasferire la proprietà di una casa alla figlia minore. Quando la moglie ha chiesto il divorzio, ha chiesto al giudice di disporre anche quel trasferimento, visto che il marito non aveva mantenuto la promessa. Il giudice, però, ha dichiarato inammissibile la domanda. Secondo il tribunale, quella richiesta non riguardava la separazione o il divorzio in senso stretto, ma un vero e proprio trasferimento di proprietà, che deve essere trattato con un diverso procedimento. La causa si è quindi fermata su questo punto: il giudice ha deciso solo sugli aspetti familiari (figlia, casa familiare, assegno), lasciando fuori tutto ciò che attiene ai beni e ai rapporti patrimoniali tra i coniugi.
La riforma Cartabia ha introdotto un rito unico per la famiglia per semplificare e velocizzare i giudizi.
L’obiettivo è concentrare l’attenzione del giudice sulle questioni personali e genitoriali, evitando che il processo venga rallentato da perizie, testimoni o contrasti economici che possono durare anni.
Le questioni di denaro o di proprietà, invece, devono essere trattate in un processo civile separato, davanti allo stesso tribunale ma con regole diverse.
Chi si separa oggi deve sapere che:
1️⃣ Nel giudizio di separazione o divorzio si discutono solo i diritti della famiglia (figli, assegni, casa, affidamento).
2️⃣ Tutte le altre richieste, come la divisione di beni, i rimborsi o i danni, devono essere fatte con un’altra causa.
3️⃣ Gli accordi economici presi in passato possono essere fatti valere, ma non “trascinati” automaticamente nel processo di separazione.
Questa distinzione serve a rendere più rapida, chiara e protettiva la giustizia familiare, specialmente quando ci sono minori.
La separazione o il divorzio servono per regolare la fine del matrimonio: chi resta nella casa, come gestire i figli, se c’è un assegno da pagare o no. Sono processi che devono concentrarsi su questi punti, e su questi soltanto. Se invece un coniuge vuole chiedere qualcosa di diverso — per esempio: “ridammi i soldi che ti ho prestato”, “mi devi risarcire per il male che mi hai fatto”, “voglio la mia parte di un investimento comune” — non può inserire queste richieste nel fascicolo della separazione.
Deve aprire una causa separata, con atti diversi e un giudice diverso, proprio per evitare che tutto si mescoli e che il processo principale si allunghi inutilmente.
Perché molti non lo sanno e rischiano di perdere tempo e denaro. Se in una causa di separazione inserisci anche una domanda “endofamiliare” (cioè rivolta all’altro coniuge per fatti accaduti nel matrimonio ma non connessi alla separazione), il giudice la dichiara inammissibile: significa che non la esamina nemmeno. Dovrai riproporla in un altro processo. In pratica, due errori: un atto inutile e mesi di attesa buttati via. La vicenda di Castrovillari insegna che non basta avere ragione: bisogna anche chiederla nel modo giusto. Sapere dove e come proporre le proprie richieste è il primo passo per ottenere una tutela effettiva.
Ricorda: ““Ogni diritto ha la sua sede, ogni processo il suo equilibrio.”
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