Non basta un dubbio per sparire. Chi sa di poter essere padre ha il dovere di scoprirlo. Se non lo fa, e lascia un figlio senza la sua presenza, può essere condannato a risarcirlo per il dolore dell’abbandono. Lo ha deciso la Corte d’appello di Bari (1) con una sentenza che segna un punto fermo: il diritto di ogni figlio a conoscere e avere accanto entrambi i genitori.
Tutto è iniziato molti anni fa, quando una coppia ha scoperto di aspettare un bambino. L’uomo, alla notizia della gravidanza, ha proposto di sposarsi. Ma il matrimonio è saltato quando la donna gli ha confessato di frequentare anche un altro uomo. Da quel momento lui si è tirato indietro, convinto di non essere il padre. Non ha fatto alcun test, né cercato conferme. Il bambino è cresciuto con la madre e con il suo nuovo marito, credendolo il proprio genitore.
Solo verso i 14 anni ha scoperto la verità: il suo vero padre era un altro, ma non lo aveva mai voluto conoscere. Quando il ragazzo è diventato adulto, insieme alla madre ha deciso di chiedere in tribunale il riconoscimento della paternità e un risarcimento per gli anni di assenza.
La Corte d’appello ha dato loro ragione. Secondo i giudici, l’uomo sapeva di poter essere padre, ma non ha fatto nulla per accertarlo. E questo comportamento – definito “abbandonico” – gli è costato caro. La Corte ha spiegato che un padre non può restare nel dubbio, perché la paternità comporta doveri immediati, che nascono dal momento stesso della procreazione. Chi evita di chiarire, pur avendo elementi concreti per farlo, commette una colpa e può essere condannato a risarcire il danno affettivo subito dal figlio.
Il danno è stato riconosciuto per tutti gli anni di vita del figlio, dalla nascita fino ai 18 anni. Non si tratta di un risarcimento economico per spese o mantenimento, ma di un danno “endofamiliare”, cioè per la sofferenza interiore provocata dall’assenza del genitore biologico. Un’assenza che – secondo i giudici – ha privato il ragazzo di un legame affettivo e di una figura di riferimento fondamentale per la sua crescita.
Un genitore può essere condannato a risarcire il figlio quando: era consapevole di poter essere il padre o la madre; non ha fatto nulla per verificare la verità; ha lasciato che il figlio crescesse senza alcun rapporto con lui; da questo comportamento è derivata una sofferenza reale per il figlio, dimostrata con elementi concreti (come relazioni psicologiche o testimonianze). In questi casi, non serve provare un danno economico. Basta la lesione del diritto alla genitorialità: un diritto affettivo, umano, e oggi pienamente riconosciuto anche dal punto di vista giuridico.
Questa decisione non parla solo di leggi, ma di responsabilità e affetto.
Essere padre non è solo una questione di sangue, ma di presenza, di cura e di scelte. Chi si sottrae al dubbio, chi preferisce non sapere, nega al figlio la possibilità di sapere chi è. E di crescere con quella parte di sé che solo un genitore può dare.
Ricorda: “Chi ha un dubbio deve cercare la verità. Perché il silenzio, in famiglia, può diventare una ferita che dura una vita.”
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