Separarsi non è mai così semplice. A volte non si comprendono le ragioni, non si sa a cosa si va incontro, si è impreparati. Le reazioni possono essere le più disperate, anche quella di allontanare i figli. In alcuni casi, può essere utile frequentare un percorso con un psicoterapeuta per “maturare” i motivi della crisi, comprendere come comportarsi. Ma l’autorità giudiziaria può imporre a uno dei genitori di frequentare un percorso psico-familiare, di sostegno alla genitorialità, per limitare la conflittualità tra gli ex e facilitare i rapporti con i figli?
Prima di tutto, occorre ricordare che quando finisce un rapporto, sia esso di matrimonio o di convivenza, bisogna regolamentare l’affidamento dei figli e il diritto di visita del genitore non convivente. Va sempre tutelata la bigenitorialità, laddove un figlio venga collocato dalla madre o dal padre.
Certo, entrambi i genitori devono mantenere i figli. È un principio posto alla base della genitorialità, che trova sempre applicazione, sia nel matrimonio, sia nella convivenza, sia nella separazione.
Ogni genitore deve partecipare in modo proporzionale alle sostanze a disposizione, tanto se si tratti di lavoro dipendente che casalingo. Andranno verificate le reali esigenze dei figli, in base all’età, al periodo di vita, essendo chiaro che la crescita comporterà l’aumento dei costi per le mutate necessità.
L’assegno di mantenimento risponde a diverse esigenze. Non si tratta solo di garantire l’assistenza alimentare. L’assegno risponde a ogni esigenza educativa, abitativa, scolastica, sportiva, sanitaria.
I figli devono mantenere la qualità di vita analoga a quello precedente la separazione. Tra i parametri che sono idonei a influenzare la quantificazione dell’assegno ci sono i tempi di permanenza presso un genitore, le risorse patrimoniali degli ex, i compiti domestici, la cura prestata ai figli. Fin quando l’età dei figli lo richiede, è necessario che i genitori garantiscano una stabile organizzazione domestica, idonea alla loro educazione. Laddove necessario, il giudice può assumere, in ogni stato e grado del giudizio, tutti i provvedimenti necessari a tutelare i figli.
Particolarmente interessante è il caso recentemente trattato dalla Corte di Cassazione. Il sig. X, cita in giudizio l’ex moglie per ottenere la modifica delle condizioni della separazione, in quanto il figlio si è trasferito presso la sua abitazione. Chiede il collocamento presso di sé, la rivisitazione del diritto di visita della madre e degli obblighi derivanti dal mantenimento dei figli non conviventi, visto che la figlia è rimasta dalla madre. L’ex moglie si oppone, chiede l’affidamento esclusivo della figlia, lamentando maltrattamenti nei suoi confronti da parte del padre. Il Tribunale modifica le condizioni, conferma l’affidamento condiviso dei figli e il collocamento del figlio presso il padre, fissando un assegno di mantenimento di € 400,00 per ciascun figlio non convivente. Il Tribunale,altresì, statuisce la nomina di un mediatore familiare. La madre non ci sta e propone appello. Ritiene giusto ottenere l’affidamento esclusivo della figlia, inoltre non ha tali risorse da garantire l’assegno di mantenimento del figlio. La Corte di appello esclude la presenza di elementi tali da giustificare l’affidamento esclusivo della figlia, riduce l’importo dell’assegno di mantenimento della madre in € 300,00 e conferma per il resto la sentenza, invitandola a seguire un percorso psico-terapeutico.
La Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della madre. È vero, per come già esposto, i genitori hanno il dovere di mantenere i figli, ma il giudice, in questo caso la Corte d’appello, non può chiedere alla persona di intraprendere un percorso psico-terapeutico, neanche se si tratta di recuperare il rapporto madre-figlio. Seppur si tratta di un semplice “invito”, avendo natura giudiziale, incide sulla libertà di autodeterminazione e cura della propria salute, che è costituzionalente garantito (2).
La sentenza è utile perché se da una parte ci ricorda i doveri dei genitori sui figli derivanti dal principio della bigenitorialità, al contempo, ci dice come neanche il giudice può incidere sulla libertà di autodeterminazione e cura della propria salute. La prescrizione di un percorso terapeutico, anche se nella forma dell’invito, condiziona e limita il principio di autodeterminazione della persona. Mentre l’intervento dei servizi sociali ha quale obiettivo quello di modificare i provvedimenti adottati nell’interesse del minore, l’idea di fare “maturare” un genitore, attraverso un percorso terapeutico, è finalità estranea al giudizio e non può essere imposta dal giudice.
1. Art Cassazione civile, sez. I, ordinanza 22 giugno 2023, n. 17903
2. Art 32 Cost.