I coniugi, dopo la separazione, devono mantenere lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Il giudice, su richiesta del coniuge che risulta economicamente più debole, può stabilire un assegno di mantenimento, oltre al contributo per i figli. Naturalmente, al coniuge richiedente non deve essere addebitata la separazione, non deve disporre di propri redditi e l’altro coniuge deve avere la capacità economica per affrontare il mantenimento.
L’assegno di mantenimento (1) è una somma di denaro stabilita al momento della separazione che ha quale obiettivo quello di fornire al coniuge più debole economicamente un sostegno. Questo avviene perché con la separazione permane il rapporto coniugale. La separazione fa venire meno i doveri di assistenza e mutuo rispetto, permane l’assistenza. Molto spesso tale forma di sostegno viene riconosciuto alla moglie, priva di lavoro e il cui reddito è inferiore al marito.
Il coniuge per avere diritto al mantenimento non deve disporre di redditi adeguati. In sostanza “l’adeguatezza” viene verificata mediante un raffronto tra le condizioni economiche dei coniugi e considerando il tenore di vita goduto durante il matrimonio. A tali parametri si aggiungono quelli relativi al contributo dato dal coniuge, la durata del matrimonio, i redditi potenziali e l’età, intesa quale capacità lavorativa.
Facciamo un esempio. Un uomo lascia la propria attività lavorativa di manager informatico per accudire il figlio invalido e occuparsi della casa coniugale. La moglie gode di redditi propri. Dopo diversi anni i coniugi si separano. Il Tribunale riconosce al marito, coniuge economicamente più debole, un assegno di mantenimento pari a € 1.500,00. L’ex moglie si rivolge alla Corte d’Appello, che riduce l’importo dell’assegno ad € 300,00. Sostengono i giudici che al momento della separazione l’uomo ha 47 anni, è dotato di piena capacità lavorativa avendo goduto in passato di un ottimo stipendio, quando ha lasciato il lavoro per prendersi cura del figlio e della lussuosa casa acquistata dalla moglie. L’uomo ricorre in Cassazione ritenendo che l’importo dell’assegno gli avrebbe consentito soltanto di reperire un’abitazione e non gli avrebbe permesso di conservare il tenore di vita matrimoniale. Afferma di essere rimasto fuori dal mondo del lavoro per circa dieci anni e avendo ormai l’età di circa 50 anni, non è capace di trovare un’occupazione. Pertanto, per poter vivere è costretto all’aiuto economico della sorella presso la cui abitazione si è trasferito, non potendo permettersi un alloggio in affitto.
La Suprema Corte ha accolto le richieste dell’ex marito (1). Secondo i giudici l’assegno di mantenimento in favore del coniuge separato deve permettergli di mantenere lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Con la separazione non viene meno l’obbligo di assistenza materiale, ma vengono meno solo gli obblighi di fedeltà, convivenza e collaborazione.
Secondo i giudici, il contributo al mantenimento non garantisce all’ex marito la conservazione del tenore di vita matrimoniale, subendo un notevole ridimensionamento.
La sentenza in commento chiarisce che i redditi ritenuti adeguati per il calcolo dell’assegno di mantenimento sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto durante il matrimonio. È un criterio che trova applicazione in sede di separazione, laddove resta l’obbligo di assistenza materiale, a differenza di quanto avviene con l’assegno divorzile che comporta lo scioglimento del vincolo coniugale.
1. art. 156 c.c.
2. Corte di Cassazione nella sentenza n. 26890 del 13/09/2022