L’articolo che abbiamo pubblicato qualche giorno fa sul lavoratore in malattia (ne abbiamo parlato qui) mi ha ricordato quel giorno in cui allo studio si presentò la signora Sempronia per chiederci aiuto. Era stata licenziata perché accusata di svolgere, durante la malattia, l’attività di insegnante di pilates in una palestra. Disperata, perché costretta a fare due lavori per vivere dignitosamente, ci dice di essere stata seguita e volontariamente sorpresa nel mentre si trovava nella sala con alcune allieve. Sostiene di essere stata vittima di un’imboscata. Racconta di svolgere come secondo lavoro quello di istruttrice di pilates, ma quel giorno non stava facendo lezione, avendo subito un intervento alla mano. Si trovava in palestra solo per fare propaganda per il prossimo corso autunnale di pilates.
Il datore di lavoro ha ritenuto ormai compromesso il rapporto di fiducia, ha licenziato la sig.ra Sempronia per la cosidetta giusta causa.
Il lavoratore che compie un comportamento così grave disciplinarmente da non consentire più la pro-secuzione del rapporto di lavoro, tale da incidere sul rapporto di fiducia, è licenziato per giusta causa. In altre parole, il licenziamento è l’unica sanzione applicabile a tutela del datore di lavoro, non essendo possibile utilizzare il dipendente in altra posizione lavorativa.
Sin da subito ci siamo resi conto che il licenziamento non trovava alcuna giustificazione. Infatti, seppur la nostra cliente aveva realmente stipulato un contratto con la palestra per i corsi di igiene posturale, quel giorno si trovava priva dell’attrezzatura e dell’abbigliamento necessario a svolgere la lezione. Il motivo assunto dal datore di lavoro non era convincente. Così, inviamo una raccomandata con l’invito a riassumere la signora Sempronia e ritirare il licenziamento. Il datore di lavoro, però, non accoglie la richiesta e ci costringe a presentare il caso in Tribunale.
Durante il processo sono ascoltati il proprietario della palestra, il collega che ha trovato la sig.ra Sempronia e alcune iscritte, presenti in sala attrezzi quel giorno. I testimoni hanno confermato la pre-senza della sig.ra Sempronia, la quale, poiché fasciata, si è limitata a spiegare alcuni tipi di respirazione utilizzati nel pilates ma il corso non è mai iniziato.
Prima di vedere cosa ha deciso il giudice, vediamo quando il licenziamento è giusto. Lo svolgimento di attività lavorativa ed extralavorativa da parte del lavoratore, durante lo stato di malattia, viola i doveri di correttezza e buona fede quando pregiudica la guarigione. In sostanza, se il lavoratore dimostra scarsa attenzione alla propria salute e ai doveri di cura, o anche quando la ripresa a lavoro è messa in pericolo da condotta imprudente, il licenziamento è valido (1).
Il giudice ha accolto le richieste della lavoratrice e condannato il datore al risarcimento del danno e alle spese legali (2). Il Tribunale ha ritenuto che durante il processo è stata avvalorata la ricostruzione della cliente. Al contrario, il datore non ha dimostrato lo svolgimento da parte della sig.ra Sempronia di “una attività denotante scarsa attenzione alla propria salute e ai doveri di cura, o comportamenti imprudenti“. Il licenziamento, pertanto, è invalido.
Per la sig.ra Sempronia tutto è bene quel che finisce bene. Il risarcimento le ha dato la possibilità di un nuovo inizio. In questo modo, abbiamo contribuito a mettere equilibrio in una situazione instabile. Però non dimenticate: se è vero che un lavoratore durante la malattia può svolgere una seconda attività, è possibile solo se non pregiudica la guarigione. Inoltre, non deve esserci alcuna finzione sulla patologia.
Pensiamo ad un altro caso trattato in Cassazione. Tizio, autista in malattia per un infortunio alla spalla, aiuta il figlio nel periodo di Natale alle vendite in negozio. Viene licenziato. In questo caso, pur svolgendo ipoteticamente altra attività lavorativa, non è idonea a ritardare la guarigione. Per tale motivo la Corte di Cassazione (3) ha annullato il licenziamento dell’autista, in quanto, seppur l’infortunio pregiudicava il lavoro principale, non era incompatibile con quello in negozio.
In sostanza, solo quando la seconda attività lavorativa o extralavorativa non pregiudica la guarigione, si potrà dire di non aver violato i doveri di correttezza e buona fede, di lealtà e diligenza che legano il lavoratore al datore di lavoro. Altrimenti si rischierà un giusto licenziamento.
1. Cass. Sez. Lav. 5 agosto 2015, n. 16465
2. Tribunale di Cosenza sez. lavoro 15 dicembre 2020 n. 4962
3. Cass. Sez. Lav. 19 settembre 2017, n. 21667