Qualche giorno fa, è arrivata la comunicazione da parte della cancelleria della Corte d’Appello, della conferma delle difese promosse in favore della giovane lavoratrice Sempronia. Infatti, non sempre l’esperienza di un giudizio si conclude con un unico grado (Tribunale). A volte siamo costretti a interessare il giudice del secondo grado proponendo appello (la Corte d’Appello), altre volte è la controparte a impugnare la sentenza. Facciamo qualche passo indietro. La nostra cliente è assunta come commessa di vendita in un esercizio commerciale. Si rivolge al nostro studio in quanto ritiene di ricevere uno stipendio troppo basso. Ci spiega, che su richiesta del datore, gestisce il punto vendita, coordina le altre colleghe, apre e chiude il negozio, controlla gli incassi, organizza l’esposizione dei prodotti nelle vetrine. Chiede se ha diritto a una retribuzione più alta.
Prima di tutto, bisogna ricordare che si parla di mansioni superiori quando il datore chiede al lavoratore di svolgere, in modo esclusivo o prevalente, compiti appartenenti a un livello di inquadramento più elevato rispetto a quello per il quale è assunto. I livelli di inquadramento sono inseriti nei Contratti collettivi dei vari settori. Per ottenere il riconoscimento dell’inquadramento superiore e delle differenze stipendiali, è il lavoratore a dovere provare davanti al giudice i fatti posti alla base della sua richiesta.
In questo caso, il lavoratore deve provare: l’esistenza del rapporto di lavoro; i compiti espletati da ricondurre al profilo superiore descritto dal CCNL; la continuità o prevalenza della prestazione lavorativa; il livello retributivo e le differenze maturate.
Anche in questo caso, ci rivolgiamo al giudice del lavoro. Indichiamo il periodo lavorativo, le mansioni svolte e i testimoni per la conferma dei fatti posti all’attenzione del giudice. Le colleghe del punto vendita, ascoltate durante il processo, confermano i compiti di Sempronia. È lei che si occupa dell’apertura/chiusura del punto vendita, di cui detiene le chiavi; degli ordini della merce; della chiusura dell’incasso di fine giornata; della gestione del lavoro e coordinamento; della comunicazione di assenze e presenze degli altri dipendenti, mediante uso software di cui ha le credenziali. Il giudice, così, accoglie la richiesta e condanna la società a ricostruire la carriera con inquadramento di “Commesso Specializzato” e al pagamento delle differenze retributive (1). Sempronia, contenta per il riconoscimento del diritto a uno stipendio più alto, vista la condanna corposa a ricevere le differenze retributive maturate negli anni, ci ringrazia. Dopo qualche giorno, però, la telefoniamo per comunicare che è arrivato l’appello. Sempronia, si preoccupa, teme un cambio di orientamento.
Occorre ricordare che nel processo civile, l’appello è il mezzo ordinario di impugnazione delle sentenze pronunciate in primo grado. Il datore di lavoro, nel caso della giovane Sempronia, ritiene che il giudice di primo grado abbia errato nel ricostruire le mansioni della dipendente. A suo dire “non lavora solo lei” nel punto vendita ed è priva di autonomia d’operato, essendo responsabile Caia. Lamenta anche che il giudice ha sbagliato nel ritenere validi i conteggi prodotti dalla Sempronia, senza la nomina di un tecnico d’ufficio.
In questo caso, ci costituiamo con una memoria difensiva dinanzi la Corte d’Appello e rispondiamo punto su punto a tutte le eccezioni promosse dal datore di lavoro. Sottolineiamo come il Tribunale ha correttamente valutato le dichiarazioni dei testimoni, le prove prodotte e i conteggi. Ricordiamo, inoltre, alla Corte d’Appello che la contestazione sui conteggi prodotti non può ridursi a dichiarazione generiche, in quanto inidonee a individuare errori da addebitare al Consulente (2).
La Corte d’Appello ha rigettato l’appello e condannato la società alle spese del giudizio. Ritengono i giudici che correttamente Sempronia ha ricostruito i fatti di causa, così come provati dai testimoni e dai documenti allegati (screenshot schermate computer). Al contrario, il datore non ha contraddetto in modo efficace la ricostruzione di controparte. In particolare, il testimone della società (Caia) è risultato inattendibile. Non avendo contestato i conteggi in modo specifico, viene confermata la quantificazione del consulente di parte, già avvalorata dal giudice di primo grado.
Salutiamo con soddisfazione Sempronia, felice, per aver avuto la conferma della sentenza del primo giudice.
Abbiamo già visto in altre occasioni, come per dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro, la mancata o inadeguata retribuzione, il lavoratore deve dimostrare l’esistenza, la durata, i compiti svolti e il livello retributivo. Può succedere che seppur si vinca in primo grado, ci si trovi a difendersi in quelli successivi. Anche il processo del lavoro si articola in tre gradi. In generale, la sentenza di primo grado è impugnabile con ricorso in appello. La sentenza d’appello, invece, è impugnabile con ricorso per cassazione per sole questioni di legittimità (violazione di norme di diritto, di procedura, sulla competenza e sulla giurisdizione). Prima di decidere di fare appello, bisogna valutare se davvero ne valga la pena. Infatti la sentenza deve risultare in modo evidente sbagliata, illogica o assurda nelle conclusioni. Si potrà valutare l’appello anche quando il giudice, ad esempio, senza alcun motivo non ha consentito l’ammissione delle prove. È importante, pertanto, affidarsi sempre all’attenta valutazione del legale di fiducia, per evitare aggravi di spesa.
1. Tribunale di Cosenza, sez. lavoro, n.841/2020
2. tra tante, Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 20844/15;
3. Corte d’appello di Catanzaro sentenza n. del 284/2023 del 21 febbraio 2023