Quando il lavoro chiede troppo: la battaglia di Caio per il giusto riconoscimento

Nel pubblico impiego, svolgere mansioni superiori senza essere retribuiti è una violazione dei diritti del lavoratore?



Ci sono storie che parlano di fatica, dedizione e, purtroppo, anche di diritti calpestati. È il caso di Caio, dipendente di una Azienda Sanitaria, che per anni ha svolto mansioni di livello superiore rispetto a quelle per cui era stato assunto, senza ricevere la giusta retribuzione. Un giorno, stanco di sentirsi dato per scontato, decide di rivolgersi a un avvocato. “Non voglio regali, voglio solo quello che mi spetta” avrà pensato, nel momento in cui ha deciso di intraprendere la sua battaglia legale.

Il Caso

Caio, dipendente pubblico, per anni ha svolto compiti ben oltre il suo inquadramento contrattuale. Doveva occuparsi di semplici mansioni amministrative, ma nel tempo gli erano state affidate responsabilità più alte: gestione di pratiche complesse,coordinamento di procedure amministrative e supervisione su processi cruciali per l’ente, liquidazione delle fatture elettroniche, coordinamento dei pagamenti, responsabilità amministrative su più strutture.
Mansioni che spettavano a un assistente amministrativo, un livello superiore e meglio retribuito. Nonostante il carico di lavoro aggiuntivo, lo stipendio era rimasto invariato. Nessun riconoscimento formale, nessun avanzamento. Quando Caio ha chiesto di essere inquadrato nella giusta categoria e di ricevere la retribuzione spettante, la risposta è stata un secco “no”. A quel punto, ha deciso di far valere i propri diritti in tribunale.

Perché le mansioni superiori danno diritto alla retribuzione adeguata?

Nel settore privato, se un lavoratore svolge mansioni superiori per un certo periodo, spesso può ottenere una promozione o una rinegoziazione dello stipendio. Nel pubblico impiego, invece, la situazione è più complessa, poiché le progressioni di carriera avvengono solo attraverso procedure concorsuali. Tuttavia, la legge (1) tutela i lavoratori pubblici dall’abuso dell’assegnazione di mansioni superiori senza il giusto riconoscimento economico. In particolare, la legge stabilisce:

che  un dipendente pubblico può essere adibito a mansioni superiori solo in casi specifici (vacanza di posto o sostituzione di un collega assente) e in tali casi ha diritto alla relativa retribuzione.

Infatti, anche se l’inquadramento contrattuale non cambia, il lavoratore ha diritto a essere pagato secondo il livello delle mansioni effettivamente svolte.Spetta al lavoratore dimostrare che ha effettivamente svolto mansioni superiori in modo continuativo e prevalente, portando documentazione e testimonianze. Il caso di Caio rientrava perfettamente in questa casistica: non solo svolgeva compiti superiori, ma lo faceva con continuità e autonomia.

La decisione del Tribunale

Il Giudice del Lavoro (2), analizzando le prove portate in causa, gli ha dato ragione. Le testimonianze raccolte e la documentazione mostrano chiaramente che per anni Caio ha svolto mansioni di un livello superiore. Secondo la legge, quando un lavoratore pubblico svolge mansioni più elevate per un certo periodo di tempo, ha diritto alla relativa retribuzione, anche se formalmente non è stato promosso. La sentenza condanna il datore di lavoro a versargli circa 16.000 euro di arretrati,  per il periodo dal 2016 al 2019, oltre agli interessi e alle spese legali.

La lezione: conoscere i propri diritti è fondamentale

Questo caso ci insegna che il diritto al giusto trattamento economico non è solo una questione di principio, ma un aspetto concreto tutelato dalla legge.
Se il datore di lavoro ti affida compiti più complessi rispetto a quelli previsti dal tuo contratto, ha il dovere di riconoscerti un trattamento economico adeguato.
Molti lavoratori, per paura di ritorsioni o per scarsa conoscenza delle normative, accettano situazioni ingiuste. Ma la legge è chiara: se svolgi un lavoro di livello superiore, devi essere pagato di conseguenza.
Caio ha avuto il coraggio di far valere i suoi diritti e ha ottenuto giustizia.

Il grazie di Caio: una vittoria che cambia la vita

Dopo aver ricevuto la sentenza, Caio è tornato nel nostro studio con un sorriso che non vedevamo da tempo. “Non ci speravo più, dopo tutti questi anni di ingiustizie,” ci ha detto stringendoci la mano. “Vi ringrazio di cuore per aver creduto in me e per avermi aiutato a ottenere ciò che mi spettava. Finalmente mi sento riconosciuto per il lavoro che ho sempre fatto con dedizione.”
Parole semplici, ma che racchiudono il senso più profondo del nostro mestiere: difendere chi si sente sopraffatto da un sistema che spesso sembra indifferente. Oggi Caio può guardare al futuro con più fiducia, sapendo che il suo valore è stato finalmente riconosciuto.

NOTE
  1. Art. 52 del D. Lgs. 165/2001
  2. Tribunale di Cosenza Sezione lavoro sentenza n. 457 del 5 marzo 2025

Andrea Borsani Ho sempre creduto che ognuno possa fare la sua parte per migliorare le cose. Nel mio piccolo, voglio rendere l’esperienza giuridica semplice. Per questo, con i clienti ho un approccio da “amichevole avvocato di quartiere” e ho dato vita al progetto Simplius.

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